La futura Commissione europea

Alfredo De Feo

Il 20 Novembre 2024, i gruppi politici del Parlamento europeo hanno concluso l’accordo politico che, con ragionevole certezza, permetterà l’entrata in funzione della nuova Commissione europea, il 1 dicembre come nella scorsa legislatura. Tale voto mette fine a molti mesi in cui l’attenzione delle Istituzioni europee è stata più rivolta verso l’interno che alle vicende geopolitiche. L’elezione di Trump, alla Presidenza degli Stati Uniti ha dato un’ accelerazione a processi che nel passato sono stati più complessi.

Per molti osservatori il comportamento dei leader dei gruppi parlamentari è apparso poco maturo, dettato da preoccupazioni difficilmente comprensibili di fronte alle urgenze ed alle sfide mondiali, sfide che si potranno affrontare solo con una grande unità.

I contrasti tra i gruppi politici, al di là, delle posizioni identitarie e nazionali, nascondevano un malessere di fondo: accettare lo spostamento della maggioranza dall’europeismo che abbiamo conosciuto negli decenni scorsi ad un europeismo, marcato da una presenza più invasiva degli Stati, probabilmente più in sintonia con il sentire di una parte dell’opinione pubblica, che si è tradotta nel risultato alle elezioni europee.

Ursula von der Leyen, ha colto da subito questo cambiamento, proponendo di coinvolgere il gruppo conservatore, o almeno una parte del gruppo, nelle cariche apicali della Commissione, essendo cosciente che nel prossimo quinquennio non potrà sempre contare sulla maggioranza di popolari, socialisti, liberali e verdi e che, probabilmente, avrà anche bisogno del supporto della destra più moderata, i conservatori europei. Inoltre, la nomina di Fitto dovrebbe garantirle una maggioranza più stabile anche in seno al Consiglio, dove il peso dell’Italia non è indifferente. Nell’architettura bicamerale europea, infatti, la Commissione, per qualsiasi atto legislativo, dovrà trovare non solo il sostegno della maggioranza parlamentare ma anche quella degli Stati Membri. L’atteggiamento della Presidente della Commissione denota lucidità e realismo politico.

Il Parlamento Europeo ha ampiamente dimostrato in questi anni di essere fondamentale nell’equilibrio istituzionale, potrà continuare ad essere centrale nella costruzione europea a condizione di mantenere la capacità di compromesso anche di fronte ad un Consiglio, la cui maggioranza degli Stati ha probabilmente una visione dell’Europa più nazionale.

D’altra parte se guardiamo agli ultimi venti anni, il processo decisionale europeo è divenuto progressivamente più intergovernativo, riducendo l’influenza della Commissione. La Commissione che dovrà accompagnare l’Europa verso il 2030 sarà sicuramente influenzata dai Governi, molti dei Commissari sono diretta espressione dei Governi nazionali ed è probabile che questi condizionino le scelte della Commissione più di quanto avvenuto in passato.

Gli ultimi anni hanno dimostrato però che il processo di integrazione europea può proseguire anche attraverso il metodo intergovernativo, con decisioni prese all’unanimità, come è stato per il piano di Ripresa e Resilienza finanziato con la garanzia dei bilanci nazionali. Anche se probabilmente, nell’immediato, questo tipo di finanziamento non si riprodurrà, gli Stati possono essere capaci di far progredire l’integrazione europea. La prova concreta si è avuta nel Consiglio Europeo informale del otto Novembre 2024 dove, i Capi di Stato e di Governo hanno invitato la Commissione, tra l’altro, a presentare una strategia orizzontale sull’approfondimento del mercato unico, verso un’unione dei risparmi e degli investimenti e realizzare con urgenza progressi per quanto riguarda l’unione dei mercati dei capitali.

Inoltre gli Stati chiedono all’Alto Rappresentante ed alla Commissione di presentare proposte per aumentare l’efficienza della capacità di difesa europea, in particolare rafforzando opportunamente la base industriale e tecnologica di difesa opzioni elaborate di finanziamento pubblico e privato.

Per concludere, la nuova Commissione dovrà rafforzare la credibilità europea con proposte che possano raccogliere il consenso di tutti gli Stati se è possibile, senza dimenticare che i Trattati prevedono che alcuni progetti siano condivisi solo da una gruppo di Stati, come per esempio l’Euro, o il trattato di Schengen, la cooperazione rafforzata, lasciando ovviamente le porte aperte agli altri di partecipare.  

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma 23/11/2024

I nuovi Deputati del PE al lavoro

Alfredo De Feo, Direttore scientifico della Fondazione Collegio europeo di Parma

I cittadini europei hanno eletto i 720 membri del Parlamento. Come possono i neoeletti influenzare le decisioni del Parlamento? 

Innanzitutto, scopriranno che il cosiddetto multilinguismo, dove ognuno può parlare la propria lingua, è una chimera. Infatti, teoricamente parlare la propria lingua è un diritto sicuramente garantito nelle sedute plenarie, ma non è sufficiente per garantire una buona integrazione nel lavoro parlamentare. L’amministrazione mette a disposizione dei deputati servizi di interpretariato e traduzione; inoltre, ogni deputato può assumere assistenti per aiutarlo a comunicare con i suoi colleghi. Tuttavia, se un deputato non riesce a esprimersi in una delle lingue “veicolari”, o meglio “nella lingua veicolare”, rischia di essere emarginato nel lavoro parlamentare. 

Il neo-deputato scoprirà poi che l’organizzazione del lavoro politico nel PE ruota attorno a due pilastri, due facce della stessa medaglia: i gruppi politici e le commissioni parlamentari. 

Le commissioni parlamentari sono divise per aree tematiche, ricalcando le commissioni dei parlamenti nazionali. I deputati saranno assegnati alle commissioni parlamentari in base alle loro competenze e preferenze. La composizione delle commissioni sarà dunque proporzionale alla composizione dell’assemblea plenaria. Avere specifiche competenze in un certo ambito aumenterà la possibilità di influenzare le decisioni. 

Nelle commissioni, oltre al Presidente e ai Vicepresidenti, un ruolo centrale è svolto dai portavoce dei gruppi, uno o due per gruppo, che hanno il compito di trovare le posizioni più unitarie all’interno del gruppo e poi difendere i risultati ottenuti in commissione all’interno del gruppo politico di appartenenza. I portavoce dei gruppi decidono inoltre a chi attribuire le relazioni o i pareri e scelgono i relatori e i relatori ombra. Queste posizioni sono chiave per lasciare un’impronta nel lavoro parlamentare. 

Per questo motivo, specifiche competenze nelle tematiche europee trattate dalle commissioni parlamentari sono essenziali per poter aspirare a ricoprire uno dei ruoli menzionati sopra e influenzare il processo decisionale. Infatti, le competenze contano; l’impatto di ogni deputato sarà proporzionale alla sua competenza e al suo modo di interagire con i suoi pari. 

Il lavoro nelle commissioni è certamente fondamentale, poiché la posizione del PE sulla legislazione da adottare viene preparata nelle commissioni, ma non è sufficiente, poiché i voti della plenaria sono determinati dalle posizioni dei gruppi politici. 

Per essere influente, il deputato deve saper trovare i suoi punti di riferimento all’interno del gruppo. Ovviamente ogni gruppo ha la propria organizzazione, che generalmente prevede un ruolo per le delegazioni nazionali e alcune aree tematiche, che generalmente coprono le competenze di più commissioni parlamentari. Anche in questo caso, i deputati che vogliono far valere delle specificità nazionali devono trovare il sostegno del gruppo politico, che dovrà poi negoziare compromessi con gli altri gruppi per ottenere la maggioranza richiesta in plenaria. 

In conclusione, ci auguriamo che i nuovi deputati si adattino rapidamente al metodo di lavoro del PE, per valorizzare le loro competenze. E per integrarsi bene nelle commissioni parlamentari e nei rispettivi gruppi politici, per partecipare attivamente alla costruzione democratica dell’Europa. 

Articolo pubblicato sulla Gazzetta di Parma il 13/6/2024 

European elections and the appointment of the President of the Commission

Alfredo De Feo, Scientific Director of the european college of Parma foundation

 

One of the central issues of the upcoming European elections is the appointment of the next President of the Commission. The candidate proposed by the European Council, taking into account the results of the elections, should be appointed by the European Parliament.

Since 2014, to reinforce the link between candidates and elections, the European parties have been appointing their candidates for the Presidency of the Commission (lead candidates). The candidates have then presented their vision of Europe and their responses to transnational challenges.

These debates are certainly interesting, as they force the candidates to present their ideas and their recipes, but they still have a great limitation: they do not attract the attention of public opinion in the various countries. Firstly, there is a language barrier, which is difficult to overcome, and secondly, the leaders of national parties have little motivation, especially when they are candidates, to put forward the candidate of the European party to which they are affiliated.

The European Parliament had put forward a proposal, supported by the most federalist circles, to create a single transnational constituency where each European party would present a single list with its own single candidate. In this way, the leading candidate of the party with the most votes would have a popular investiture, a kind of European premiership.

In reality, there is another limitation, the absence of a single electoral system, each country organizes its elections internally as it sees fit. In addition, proportional voting certainly makes the European Parliament representative of national public opinion, and this is a good thing, but not necessarily suitable for electing the best candidate for President of the Commission, whose main quality should be his/her capacity of mediator between the ‘Senate’ (national governments) and the lower house (the European Parliament).

The future President of the Commission must, however, have the ability to coalesce a parliamentary majority, probably making concessions to the right and the left, only in this way he/she will be able to have a majority in the European Parliament, a majority that could lose during the term of office, in case the motion of censure is activated, as it happened, in 1999 with the Santer Commission.

The best example of the Commission President’s ability to compromise came in 2019. Ursula von der Leyen was not among the Leader candidates expressed by the European parties, but none of them had the necessary parliamentary majority to be elected. The European Council nominated Ms von der Leyen, who was confirmed by only nine votes. After that, she negotiated her government programme with the parliamentary groups after the elections, obtaining a solid parliamentary majority.

To conclude, as it is often the case in Europe, the ideal solution is not achievable and remains a goal, but there is (almost) always a sub-optimal solution that advances the democratic process and European integration.

In previous years, the President of the Commission was formally appointed by the European Council. In practice, the appointment took place in a private room of the Council, or more often in a small room in some hotel between two or maximum three Heads of State, you can guess the names! The Treaty of Lisbon put an end to this practice and the European Parliament, with the majority that will emerge from the ballot box, has a decisive role. The citizens’ vote will have an important influence on the future of Europe.

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